Una indicazione geografica introvabile sulle carte topografiche, a cominciare da quella più antica di Mario Cartaro del 1588 che, invece, ufficializzò il nome Epomeo, dal greco “guardo attorno”. Il monumento è da sempre la meta di un’esperienza unica che, trovandosi a Ischia, non ci si può negare almeno una volta nella vita. Come facevano i viaggiatori stranieri, che fin dal ‘600 salivano a dorso di mulo per i sentieri che si aprono su ogni versante del grande cono di roccia.
Non è un monte, non è vulcano, l’Epomeo, ma l’uno e l’altro. La sua conformazione è talmente particolare che è stato necessario coniare la definizione di horst vulcano-tettonico. Una gigantesca zolla risorgente di tufi rimasti per migliaia di anni in una caldera al centro dell’isola, a contatto con acque minerali bollenti, che donarono loro la caratteristica colorazione verde, prima che una intrusione di magma dalle profondità della terra li sollevasse verso l’alto, avviando una nuova trasformazione dell’isola. Così è nato e cresciuto il massiccio dell’Epomeo. Per il mito, la testa dell’inquieto gigante Tifeo.
Nell’ascesa alla vetta si incontrano fitti boschi di castagni, che offrivano il necessario per la coltivazione della vite agli abitanti dei villaggi del III secolo a.C. La montagna era frequentata anche dai più antichi abitatori dell’isola, che da lì potevano avvistare qualunque imbarcazione solcasse il mare. All’occorrenza, si accendevano i fuochi per lanciare l’allarme di un pericolo imminente, dando la possibilità agli isolani di abbandonare i villaggi costieri, per rifugiarsi nelle numerose grotte e nelle case di pietra nei massi presenti nei punti più impervi e protetti della montagna.
Documentata fin dal 1459, la chiesetta dedicata a San Nicola è scavata nel tufo della cresta ed è uno dei più antichi esempi di architettura rupestre del Mezzogiorno, impreziosito da un bassorilievo marmoreo del Santo degli inizi del ‘500. Di fianco alla chiesetta, nelle piccole celle monastiche create nella pietra, recentemente allestite come piccolo museo, si racconta una storia di contemplazione, scritta da uomini che lì si ritiravano in solitudine e preghiera. Come Giuseppe d’Argouth, governatore del Castello d’Ischia sotto Carlo III di Borbone che decise di farsi francescano e di ritirarsi sull’eremo. D’Argouth, come gli eremiti che seguirono, accoglieva i forestieri che non trascuravano mai la salita all’Epomeo durante i soggiorni sull’isola, tra le tappe del classico Grand tour in Italia.
Allora come oggi l’escursione sul monte offre all’alba uno spettacolo indimenticabile tra notte e giorno, cielo e terra, luna e sole. E tutt’intorno all’isola, nel mare, si distinguono le isole Ponziane, Procida e Capri, e la costa continentale, fino ai monti dell’Appennino.